SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: C'ERA UNA VOLTA SAN FILI: Le more di rovo (l'amureddr'e spine) - Articolo di Luigi Gigino Iantorno.

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
* * *
Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@sanfili.net

sabato 23 settembre 2017

C'ERA UNA VOLTA SAN FILI: Le more di rovo (l'amureddr'e spine) - Articolo di Luigi Gigino Iantorno.



Foto a sinistra: le stupende e saporite amureddre (more) di spine (rovo). Prelibatezza regalataci dalla natura di cui San Fili è ricchissima nei mesi di verso la fine della stagione estiva.

Foto by Pietro Perri - Articolo by Luigi Gigino Iantorno.

*     *     *

Con questo ricordo, messo nero su bianco dall’amico Luigi “Gigino” Iantorno (pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2017), riporto alla mente una bellissima pagina di ricordi... anche e soprattutto della mia infanzia: le “amureddr’e spine”.

*     *     *

Mi ricordo quando, da ragazzino, nel periodo ricadente tra la seconda metà di agosto e la prima metà di settembre andavo all’incetta di alcuni particolari gustosissimi frutti che ci elargiva in modo spontaneo la natura circostante: le more di rovo o (come chiamavamo all’epoca tale pianta) di spine.

Il rovo è una pianta particolarmente fastidiosa proprio perché presenta lungo i suoi filamenti tutta una serie costante di spine che lasciano ben poco a sperare in quanti ci si imbattono. Una quantomeno piccola puntura è infatti comunque assicurata.
Le more di rovo sono frutti selvatici commestibili e di buona qualità.

Da ragazzino, dicevo, come tutti i miei coetanei ne ero alquanto goloso e quindi ne mangiavo tantissime. Con i miei compagni d’avventura in ogni caso ne raccoglievamo tantissime e dopo averne mangiato buona parte, ci divertivamo ad infilare il resto in alcuni fili d’erba appositamente selezionati per tale scopo.

Si dava così vita al cosiddetto filaru (appunto il filo d’erba in cui erano infilate una dietro l’altra le more raccolte).
Inutile dire che tra noi ragazzini si faceva a gara a chi avvistasse il rovo più carico di more... ovviamente giunte a giusta maturazione e più grandi delle altre.

Era questo un frutto senza padrone e quindi serviva anche a placare i desideri, in alcuni casi una vera e propria necessità alternativa, della povera gente.
Spesso i filari venivano portati a casa e messi a disposizione degli altri componenti il nucleo familiare.

Inutile ribadire che molti erano i graffi che si accumulavano sulla propria pelle nel cercare di raccogliere dai rovi più more possibili ed a volte qualcuno di noi ci rimetteva (a causa di vari strappi) anche le camicie, le maglie o i pantaloni. Il che poteva significare non ottenere dai genitori i complimenti per il lavoro fatto ma un bel ceffone per il danno causato ai vestiti.

Le more dei rovi (o di spine) oggi sono alquanto ricercate anche per la realizzazione di ottimi dolci, di saporite bevande e di gustosi gelati.
Stranamente le stesse sembra non siano più ricercate dai ragazzini di oggi.
Ma i tempi passano e forse è anche meglio così.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
*/pace ma... “si vis pacem para bellum”!


Nessun commento: